IL COMMERCIALISTA RISPONDE ANCHE PER LE RITENUTE D’ACCONTO DELLE SUE FATTURE
La Corte di Cassazione, nella sentenza 18.1.2017 n. 2256, ha stabilito che, in caso di mancato versamento della ritenuta d’acconto da parte del sostituto d’imposta, sempre che siano superate le soglie di punibilità previste dall’art. 4 del DLgs. 74/2000, integra, dal punto di vista materiale, il reato di dichiarazione infedele. Il sostituito che indica nella dichiarazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quelli effettivi, non inserendo tra i componenti positivi gli importi assoggettati alla ritenuta d’acconto operata dal sostituto e da questi non versata, costituendo tali poste elementi attivi del reddito che concorrono alla determinazione dell’imposta evasa come definita dall’art. 1 co. 1 lett. f) del DLgs. 74/2000.
Ai sensi di tale disposizione, infatti, per “imposta evasa” si intende “la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di ritenuta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine”.
Nel caso di specie, inoltre, dal momento che rispetto al provvedimento di sequestro disposto in via cautelare il Tribunale del Riesame aveva correttamente sottolineato come la circostanza del mancato versamento della ritenuta di imposta da parte del sostituto fosse ben nota al sostituito, essendo quest’ultimo il commercialista della società inadempiente, è ritenuto integrato anche l’elemento soggettivo del reato contestato e rappresentato dal dolo di evasione.
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